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Le città che abiteremo

“I centri urbani sono da sempre uno dei più grandi specchi di riflessione delle trasformazioni sociali poiché sono i luoghi in cui le esperienze umane, individuali e collettive, si concentrano.”

Insight - 23/05/2024

“La città non dice il suo passato, lo contiene come le linee d’una mano, scritto negli spigoli delle vie, nelle griglie delle finestre, negli scorrimano delle scale, nelle antenne dei parafulmini, nelle aste delle bandiere, ogni segmento rigato a sua volta di graffi, seghettature, intagli, svirgole”
- Le Città Invisibili, Italo Calvino

I centri urbani sono da sempre uno dei più grandi specchi di riflessione delle trasformazioni sociali poiché sono i luoghi in cui le esperienze umane, individuali e collettive, si concentrano.
Sono spesso le crisi, le pandemie, le guerre, gli sconvolgimenti politici ed economici ad innescare i cambiamenti più profondi nelle città e a liberare il desiderio di un cambiamento radicale. Oggi lo scenario urbanistico globale è in grande fermento e mutazione, ed è cambiato, soprattutto, il nostro modo di concepire e vivere le città.

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Mentre in Medio Oriente innalzano nuove città dal deserto, come New Murabba e Neom, progettate a tavolino senza memoria o senso di appartenenza, nel Vecchio Continente facciamo i conti con nuovi modelli urbanistici la cui fattibilità è, però poco chiara.
Le nuove “Smart Cities” o “Città Ideali” non suscitano il fascino aspettato da parte di chi dovrebbe abitarle. Questo poiché, la polis ha da sempre rappresentato per l’individuo la genesi di tutto, legata non tanto all’architettura o alla progettazione urbana, ma al senso di appartenenza, per il quale non basta la promessa di stili di vita all’avanguardia per essere sviluppato. Le città non posso essere soltanto icone “intelligenti” di sé stesse, hanno bisogno di memoria e, quindi, di un lungo e complesso processo per il quale ci vogliono decenni, se non secoli. Il rischio dei modelli urbani più “digital oriented” è quello di trasformare gli abitanti in utenti di un luogo artificiale che di fatto non esiste, in cui la perfezione non potrà mai sostituire il senso dell’abitare.

In Europa e, soprattutto, in Italia non abbiamo la superficie necessaria per costruire da zero, e allora la parola più in voga tra architetti, urbanisti, costruttori ed amministrazione pubblica, diviene “riqualificazione”. La maggior parte degli interventi di recupero, seppur di grande valore architettonico, creano isole raffinate che però mancano di relazioni con il territorio circostante, non si generano molto spesso beni comuni godibili anche dal contesto locale.

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Il 2020 è stato l’anno in cui la massa dei materiali prodotti dall’uomo -dalle case alle infrastrutture, agli oggetti- ha superato la biomassa vivente, rappresentata dal mondo animale e vegetale. Abbiamo sovraccaricato la terra di oggetti e la domanda che sorge è se più che continuare a costruire servirebbe un processo di de-costruzione?
È necessario iniziare a progettare luoghi dimenticando l’ottica dell’accumulo o della speculazione edilizia, creando piuttosto spazi minimali, green e di condivisione.

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Rigenerare, Reinventare e Riconnettere, sono queste le parole d’ordine per chi progetterà gli spazi pubblici e non delle nostre città, coloro che Elena Granata, professoressa di Urbanistica del Politecnico di Milano, chiama “Placemaker”, ovvero gli inventori dei luoghi che abiteremo. Chiunque di noi può essere un Placemaker”, è anzi di vitale importanza non lasciare in mano solo a tecnici, ingegneri ed architetti tale progettazione ma rendersi partecipi e protagonisti in quanto cittadini. Poiché la città la si capisce soprattutto se la si guarda dal basso.

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CONSIGLI DI LETTURA PER APPROFONDIRE
Leggere e comprendere le città è un processo alquanto difficile poiché richiede sia monitorare le grandi narrazioni, la storia e gli eventi, sia le piccole e silenziose trasformazioni.
1. Le Città Invisibili, Italo Calvino
2. Placemaker, Elena Granata
3. Abitare Il Vortice, Bertram Niessen
4. La Città di Domani, Carlo Ratti

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