Portrait

Nell'intervista di oggi, Giacomo Lucidi, artista che avete conosciuto al primo evento FRESCO, ci racconta qualcosa in più su come lavora, sulle sue ispirazioni e sui suoi progetti.


$preferisci lavorare su supporto fisico o digitale? quali aspetti preferisci dell’uno o dell’altro?$
vado a periodi, non so dire perché, delle volte mi metto al computer e delle volte, invece, sento il bisogno di fare qualcosa con altri supporti. ultimamente sono in un periodo in cui sto dipingendo e disegnando parecchio, sento di liberarmi di più così. quello che preferisco del digitale è banalmente il “command + z”. no dai, a parte questo, il fatto che comunque possono essere molte di più le applicazioni di quello che viene fuori. mentre quello che preferisco nel lavorare su qualcosa di fisico, è proprio che non si può tornare indietro, non si può sbagliare, è tutto giusto, proprio d’impulso.


$quali sono le figure del presente o del passato, alla quale guardi con più ispirazione?$
ce ne sono diverse, ma sicuramente una su tutte è Basquiat. per tutto, partendo dai suoi dipinti, fino a quello che c’è dietro, il modo in cui criticava la società in cui viveva, che potrebbe essere ancora molto attuale.

$ci sono temi e/o soggetti che preferisci illustrare per qualche motivo?$
i temi e i soggetti sono sempre riferiti a qualcosa che vivo, quindi, momenti, persone, esperienze, o a cose che accadono intorno a me e che mi fanno riflettere. per me è come un modo di scaricare i miei pensieri e le mie emozioni, e metterle lì su una tela, un poster, o qualsiasi cosa. lo faccio per liberarmi e sentirmi più leggero. ed ora quando riguardo cose vecchie, per me sono come delle fotografie di determinati periodi.


$abbiamo visto che hai usato le tue illustrazioni per fare delle t-shirt, parlaci di questa esperienza. hai altri progetti ai quali stai lavorando?$
l’idea di fare qualche t-shirt era da tempo che l’avevo, però alla fine non le ho mai fatte. poi la scorsa estate, dovevo proprio comprarne una, e guardandole in giro, indeciso, nessuna mi faceva impazzire, o per il costo o per una cosa estetica. allora mi sono detto, la faccio io. presi una grafica che feci per un poster, ma che non mi piaceva usata lì, e la provai su una t-shirt per me. poi alcuni amici mi hanno iniziato a chiedere dove l’avessi comprata, e niente qui è nata la seconda riflessione e ho pensato, ok allora ne faccio alcune e le vendo. è andata così insomma, e adesso ne ho fatta un’altra poco fa, e penso ne farò altre.
riguardo altri progetti, si, ho mille idee in testa e sempre troppo poco tempo. una su tutte è quella di un video sul quartiere dove vivo a Roma, ma sono due anni che lo dico, però magari chi lo sa, tra non molto vedrete un video da qualche parte (forse).


$come pensi che l’ambiente in cui sei cresciuto o in cui vivi ti abbia influenzato in quello che fai o che sei ora?$
sicuramente San Benedetto mi ha influenzato, anche se devo rifletterci per dirlo, ma so che è così... la sua tranquillità, il mare, il molo, ma anche la noia invernale, poi gli amici di sempre, le mille situazioni e ricordi. invece, Roma senza dubbio, penso sempre che sembrino più città in una, si respira un mood veramente unico, ispirazione ovunque. poi la zona in cui vivo, sento di esserci ormai molto legato, multietnica, imprevedibile e piena di vita, questo mix è una cosa che mi vivo benissimo e che ogni volta mi fa volare. anche le persone che ho conosciuto qui hanno avuto un ruolo importante, c’è sempre un continuo scambio di idee, a proposito, a breve potrebbe venir fuori qualcosa...

Giacomo Lucidi

Insight

“La città non dice il suo passato, lo contiene come le linee d’una mano, scritto negli spigoli delle vie, nelle griglie delle finestre, negli scorrimano delle scale, nelle antenne dei parafulmini, nelle aste delle bandiere, ogni segmento rigato a sua volta di graffi, seghettature, intagli, svirgole”

- Le Città Invisibili, Italo Calvino

I centri urbani sono da sempre uno dei più grandi specchi di riflessione delle trasformazioni sociali poiché sono i luoghi in cui le esperienze umane, individuali e collettive, si concentrano. 
Sono spesso le crisi, le pandemie, le guerre, gli sconvolgimenti politici ed economici ad innescare i cambiamenti più profondi nelle città e a liberare il desiderio di un cambiamento radicale. Oggi lo scenario urbanistico globale è in grande fermento e mutazione, ed è cambiato, soprattutto, il nostro modo di concepire e vivere le città. 



Mentre in Medio Oriente innalzano nuove città dal deserto, come New Murabba e Neom, progettate a tavolino senza memoria o senso di appartenenza, nel Vecchio Continente facciamo i conti con nuovi modelli urbanistici la cui fattibilità è, però poco chiara. 
Le nuove “Smart Cities” o “Città Ideali” non suscitano il fascino aspettato da parte di chi dovrebbe abitarle. Questo poiché, la polis ha da sempre rappresentato per l’individuo la genesi di tutto, legata non tanto all’architettura o alla progettazione urbana, ma al senso di appartenenza, per il quale non basta la promessa di stili di vita all’avanguardia per essere sviluppato. Le città non posso essere soltanto icone “intelligenti” di sé stesse, hanno bisogno di memoria e, quindi, di un lungo e complesso processo per il quale ci vogliono decenni, se non secoli. Il rischio dei modelli urbani più “digital oriented” è quello di trasformare gli abitanti in utenti di un luogo artificiale che di fatto non esiste, in cui la perfezione non potrà mai sostituire il senso dell’abitare. 

In Europa e, soprattutto, in Italia non abbiamo la superficie necessaria per costruire da zero, e allora la parola più in voga tra architetti, urbanisti, costruttori ed amministrazione pubblica, diviene “riqualificazione”. La maggior parte degli interventi di recupero, seppur di grande valore architettonico, creano isole raffinate che però mancano di relazioni con il territorio circostante, non si generano molto spesso beni comuni godibili anche dal contesto locale. 



Il 2020 è stato l’anno in cui la massa dei materiali prodotti dall’uomo -dalle case alle infrastrutture, agli oggetti- ha superato la biomassa vivente, rappresentata dal mondo animale e vegetale. Abbiamo sovraccaricato la terra di oggetti e la domanda che sorge è se più che continuare a costruire servirebbe un processo di de-costruzione?
È necessario iniziare a progettare luoghi dimenticando l’ottica dell’accumulo o della speculazione edilizia, creando piuttosto spazi minimali, green e di condivisione.



Rigenerare, Reinventare e Riconnettere, sono queste le parole d’ordine per chi progetterà gli spazi pubblici e non delle nostre città, coloro che Elena Granata, professoressa di Urbanistica del Politecnico di Milano, chiama “Placemaker”, ovvero gli inventori dei luoghi che abiteremo. Chiunque di noi può essere un Placemaker”, è anzi di vitale importanza non lasciare in mano solo a tecnici, ingegneri ed architetti tale progettazione ma rendersi partecipi e protagonisti in quanto cittadini. Poiché la città la si capisce soprattutto se la si guarda dal basso.



CONSIGLI DI LETTURA PER APPROFONDIRE
Leggere e comprendere le città è un processo alquanto difficile poiché richiede sia monitorare le grandi narrazioni, la storia e gli eventi, sia le piccole e silenziose trasformazioni. 
1.	Le Città Invisibili, Italo Calvino
2.	Placemaker, Elena Granata
3.	Abitare Il Vortice, Bertram Niessen
4.	La Città di Domani, Carlo Ratti

Le città che abiteremo

Abbiamo provato a fare un'intervista tripla con i membri del Blackground Trio, ecco come è andata:


$presentati in una frase.$
Zerzo: Sono quello con la chitarra in mano, il giallo addosso, il cappello in testa e la mente qua e là. 
Raoul: Sono quello che suona con le bacchette pure al sushi. 
Armando: Sono Armando, suono il basso e sono basso.

$⁠cosa ti ha portato a scegliere il tuo strumento?$
Z: Mio zio aveva una chitarra in casa, io avevo appena 10 anni ed è stato amore a prima vista .
R: Avevo quattro anni e mio nonno mi comprò una batteria giocattolo... fu amore a prima vista.
A: ⁠È il più facile da suonare.

⁠$genio della lampada, hai tre desideri da esprimere: quali sono?$
Z: Teletrasporto, prevedere il futuro, tornare indietro nel tempo.
R: La capacità di volare o teletrasportarsi così da poter viaggiare tutto il mondo, pizza infinita, la capacità di creare oggetti col pensiero.
A: L’erezione a comando, camminare all’indietro super veloce (per guardarmi sempre le spalle dai miei opps) ed entrare nella testa di tutti gli italiani per diventare presidente.


$⁠qual è l’artista al quale guardi con più ispirazione e che apprezzi di più? per quale motivo?$
Z: Kendrick Lamar, per la qualità dei suoi lavori e per gli insegnamenti umani che ne derivano.
R: Aaron Spears, perché sosteneva che per un musicista è importante saper apprezzare il processo di crescita personale e musicale piuttosto che essere ossessionati dal successo; facendo tutto per passione e non per ambizione.."Enjoy the process!"
A: ⁠⁠Tim Lefebvre, per la capacità di calarsi in diversi generi e la capacità di improvvisare.

⁠$crea la formazione perfetta per una band (valgono anche i morti).$
Z: Voci: Kendrick Lamar, Marvin Gaye
Chitarra: Nile Rodgers
Piano: Herbie Hancock
Basso: Thundercat
Batteria: Chris Dave
Producer: J Dilla
R: Sicuramente mi piacerebbe vedere Miles Davis suonare jazz insieme a Bach , con Will Kennedy alla batteria e Kanye West alla voce che si presenta sul palco a volto coperto.
A: ⁠⁠Voce: Franco Califano
Sax: Michael Brecker
Basso: Anthony Jackson
Batteria: Billy Cobham
Tastiere: Mike Dean 
Chitarra: Giuseppe Ciabattoni

$puoi eliminare un’artista/band dalla faccia della terra con tutto il suo repertorio, chi è?$
Z: I fratelli Gallagher non mi sono mai stati simpatici, anche se qualche brano degli Oasis mi piace.
R: Eliminerei 6ix9ine e tutta la scena "rap" che ha quello stile lì (anche italiana).
⁠⁠A: Eros Ramazzotti, sono invidioso dell’attrazione che le donne svedesi hanno verso lui.


$⁠quale aspetto della musica preferisci: creare qualcosa di nuovo o suonare pezzi di altri?$
Z: Creare qualcosa di nuovo.
R: Mi piace fare entrambe le cose, in genere mi diverto tantissimo sia cercando di creare qualcosa di mio che suonando cover. Basta che si suona ahahaha.
A: L⁠e numerose groupies dopo i concerti alle sagre.

$⁠il brano che ti fa bestemmiare per quanto è difficile da suonare (per il tuo strumento)?$
⁠⁠Z: Playing God dei Polyphia (è lui che gioca con me).
R: Un brano che amo è Spirit of the West degli YellowJackets, solo che il prezzo da pagare per suonarlo è la tendinite!
A: ⁠⁠Portrait of Tracy di Pastorius.

$qual è il genere che preferisci suonare? quale invece preferisci ascoltare?$
⁠⁠Z: Ultimamente suono molto hip hop, in generale mi piace ascoltare tutta la black music.
R: I generi che mi capita di suonare spesso sono principalmente pop/hip hop/funk/fusion e soul. Il Metal invece è un genere che apprezzo tanto ma mi ritrovo davvero poco a suonarlo e quindi la maggior parte delle volte lo ascolto solamente.
A: ⁠⁠Ascolto molto pop e rap, suono soprattutto funk, R&B, jazz rock.


$se non avessi preso questa strada, cosa ti sarebbe piaciuto fare?$
Z: Mi ha sempre attirato il parrucchiere anche se non sono capace nemmeno di rasare una testa a zero, una volta ho tagliato l’orecchio a un mio amico.
R: Al di là della musica e degli studi giuridici, sicuramente avrei provato a fare il doppiatore di cartoni animati o anime, mi sarei divertito come un pazzo!
A: ⁠Quale strada?

$se potessi rubare una skill a chiunque quale ruberesti e perché? (non necessariamente artisti)$
Z: Ho sempre ammirato l’innovazione che portò ai suoi tempi Pino Daniele, cioè la capacità di fondere la tradizione musicale del proprio territorio con un mondo apparentemente distante come la black music. Di conseguenza ruberei la capacità di fondere gli aspetti tipici della canzone italiana con il proprio gusto musicale e rendere il tutto semplice e godibile.
R: Ruberei a Jacob Collier la conoscenza musicale che ha.
A: ⁠Il sex appeal di Raoul Di Stefano.

$per concludere, c’è qualcosa che vuoi dire ai tuoi compagni?$
Z: Abbiamo appena iniziato.
⁠R: Vi voglio bene <3.
A: ⁠⁠Sono molto stanco di voi.

Blackground Trio

L'intervista di questa settimana vede protagonista il nostro amico Tommaso, in arte Rocki Rotch, presente (non fisicamente ma con le sue foto) allo scorso evento. Fotografo e membro del nuovo progetto sperimentale degli Schema Ponzi, ci parla del suo percorso e del suo modo di fare arte.


$ come pensi che l’ambiente e la famiglia in cui sei cresciuto ti abbia influenzato in quello che fai o che sei ora? $
Sicuramente la mia famiglia ha influenzato molto il mio percorso, in primo luogo per aver permesso di provare e di lasciarmi fare quello che volevo fino a quando non ho trovato il mio centro di gravità; e proprio questa necessità di cercare e trovare qualcosa penso sia nata da un subconscio senso di inferiorità nei confronti di mio fratello maggiore che sin da piccolo aveva già trovato la sua vocazione artistica, quindi ho sempre sentito questo bisogno di trovare un mezzo per trasmettere me stesso.


$ ⁠quanto di te cerchi di trasmettere tramite la fotografia? quanto invece cerchi di trasmettere dell’ambiente che ti circonda? $
La fotografia per me appunto nasce come mezzo di comunicazione per un Tommaso che non è mai stato bravo a spiegarsi ed esprimersi, attraverso la foto vedo molto il me stesso del momento in cui è stata scattata, invece l’ambiente che mi circonda funge più da scatola in cui posso esprimere quello che provo in quel determinato contesto.


$ ⁠come sono nati i tuoi lavori con doppia esposizione? come mai spesso usi questa tecnica per le tue foto? $
In realtà nascono da un errore, non mi ero accorto di aver usato lo stesso rullino due volte (lol colpa delle canne) , ma quando l’ ho sviluppato sembrava fosse tutto fatto appositamente. Quello che mi ha portato ad utilizzare questa tecnica inseguito è proprio la possibiltà di avere una nuova forma di comunicazione con cui poter esprimere anche dei contrasti interiori in modo armonico.


$ ⁠hai degli hobby o altri progetti a cui stai lavorando? $
OO si, domanda che casca a pennello per propsare il progetto musicale che sta per nascere, Gli Schema Ponzi, un collettivo musicale nato da 4 amici di sempre, dove suono il sassofono, ma non voglio aggiungere altro perché sono superstizioso. Una cosa però sicuramente devo dirla, che in questo periodo forse addirittura la musica, suonare, mi fa sentire meglio della fotografia, o per lo meno più spensierato rispetto a quando scatto per lavoro e non.

Rocki Rotch

“Essere ciò che siamo e divenire ciò che siamo capaci di divenire è l’unico scopo della vita.”

Spinoza

A tutti noi è familiare la sensazione di dover fare delle scelte preimpostate, della serie: “ok, fatto quel liceo, faccio quell’università, poi magari quel master per poter poi lavorare in quel posto/settore”. Tutto questo senza contare che il periodo in cui si fanno queste cose è anche quello dove si cambia maggiormente. Il risultato è che intraprendiamo una “vita” in base alle nostre scelte di anni prima. Praticamente fatte da un’altra persona, un estraneo. 
Le chiacchiere con amici a notte fonda sono la migliore ispirazione per supercazzole filosofiche come quella che segue e che si concentra su quanto detto sopra, Baruch Spinoza ed il pensiero Buddista.



Il pensiero di Spinoza è molto legato al concetto onnipresente di Dio e della sua somiglianza con la natura. Secondo il filosofo, obbiettivo principale della vita è quello di raggiungere la felicità, ma come? Ovviamente riuscendo a vivere in armonia con la natura e, quindi, con Dio. Pensiero controverso e di cui si è discusso anche dopo la sua morte ma cosa direbbe il filosofo se vivesse nella nostra epoca? Dio è morto e le nostre controparti, interlocutori, non sono altro che spesso copie di noi stessi viste attraverso uno schermo. Incasellati in vite e appartamenti di 32 metri quadrati, cerchiamo di rimpiazzare il vuoto lasciato dalla sua morte con qualsiasi cosa, spesso serotonina in micro dosi compresa.

In un momento molto confuso della mia vita, che pensavo fosse un momento ma invece è la mia vita, ho letto questa frase:
“Essere ciò che siamo e divenire ciò che siamo capaci di divenire è l’unico scopo della vita.”

Amo la natura, certo, ma non ho mai creduto in Dio. Questa frase ha alleggerito il peso che portavo in petto, in parte formatosi per la pressione di dover scegliere una strada da percorrere, un personaggio da scegliere e una maschera da indossare che fornisse una spiegazione veloce, semplice e concisa alla domanda: “e tu che fai?”



È innegabile che il sistema capitalistico abbia portato molti fattori positivi ma la necessità di guadagnare ci ha spinto anche a spegnere una parte di noi stessi, dare un ordine al caos, un sistema di emozioni che è il centro della vita stessa.
Il nostro ambiente ci ha insegnato a pensare e a prendere decisioni pensate utilizzando il metro del futuro e del profitto crescente spesso senza però curarci di quello che abbiamo dentro. Sappiamo quello che pensiamo ma non sappiamo quello che sentiamo.
La comunicazione spesso fallisce anche con le generazioni precedenti alla nostra per via del gap generazionale. Mentre loro ci spingono a prendere decisioni e posizioni, noi speriamo di vivere senza maschera con un volto che cresce e che cambia, a volte anche in modo repentino, senza doverci sentire in colpa per il solo fatto di essere noi stessi.


Nessuna supercazzola filosofica sarebbe però completa senza una dose Q.B. di spiritualismo orientale. Penso che, se Spinoza avesse vissuto nella nostra epoca, avrebbe amato la filosofia buddista. D’altra parte, in entrambe non mancano spiritualismo, amore per la natura e ricerca della felicità. Uno dei due è però sopravvissuto ai tempi moderni riuscendo a dare risposte e ispirazione a molte persone confuse come me e, forse, a qualcuno di voi.

Il buddismo, specialmente quello Zen, presenta un concetto che deriva dal passaggio di questa filosofia in Cina e dalla sua fusione con la filosofia taoista, questo è l’impermanenza. 
Continuo cambiamento, tutto è un eterno movimento. Questo potrebbe essere una risposta al perché l’incasellamento ci sta stretto, lo sentiamo e lo percepiamo ma non lo pensiamo essendone abituati. 
Abituati ad agire usando la mente più che i sentimenti, forse Spinoza avrebbe incluso questo nei suoi scritti, chi può dirlo.

Impermanenza

Avete visto le tele di Gabriele al Viniles nell'evento FRESCO club ep.02, a Pasqua, adesso lasciamo che si racconti un pò attraverso le parole, e non attraverso i colori. 


$come pensi che l’ambiente in cui sei cresciuto ti abbia influenzato in quel che fai o in quel che sei ora?$
Nella mia famiglia l’arte ha sempre avuto un ruolo essenziale, mio nonno era un pittore e mio padre ha condotto studi artistici. Per questo penso che sia stato quasi inevitabile per me prendere questa strada, visto che matite e pennelli mi hanno sempre accompagnato fin dalla nascita.


$in cosa consiste il tuo processo creativo? cosa non manca mai e cosa ti stimola di più?$
Il mio processo creativo prende spunto dalle tecniche utilizzate prevalentemente dal XVI al XIX secolo. Il mondo che vivo inevitabilmente mi suggerisce un’immagine che di conseguenza, adatto alle mie esigenze: dopo aver fatto posare un/una modello/a (che nella maggior parte dei casi finora sono io) preparo dei bozzetti su carta. Una volta scelta l’impostazione dell’opera, assemblo e preparo artigianalmente la tela sulla quale disegno la bozza a matita. una volta finito tutto questo inizio a dipingere diversi strati di colore, fino ad ottenere il risultato finale. la parte più stimolante è sicuramente la stesura del colore, dove finalmente vedo prendere vita quella che inizialmente era solo un’idea.


$la tua principale attività artistica è quella della pittura ad olio, cosa rappresenta per te una tela vuota?$
La tela vuota la vedo principalmente come un’opportunità di dire la mia su quello che vedo, che succede e che mi circonda. A volte non mi piace tanto esprimermi a parole ma preferisco parlare attraverso un quadro. È l’unico mezzo che conosco per rendere pubblica la mia visione del mondo.

$sappiamo che fai parte del doP studio, cosa fate? come contribuisci al progetto?$
Il doP studio, è un gruppo di ragazzi, ma soprattutto un gruppo di amici, uniti dalla stessa passione e da una fortissima voglia di mettersi in gioco. il progetto è principalmente improntato nell’ambito musicale, ma sta anche molto attento all’intero ecosistema delle arti e della cultura. Io principalmente collaboro con loro per tutti i progetti che riguardano le arti figurative, in particolare la pittura.


$qual è il tuo tallone d’Achille? quale il tuo punto di forza maggiore$
Credo fortemente che il mio punto debole sia la continua insoddisfazione dei miei lavori, questo mi porta spesso a evitare di mettermi in gioco. Ma penso che possa essere anche un mio punto di forza visto che mi porta a fare sempre meglio.
Un altro mio punto di forza invece credo che sia la testardaggine e la determinazione nel riuscire a raggiungere i miei obiettivi.

Gabriele Signorile

l'intervistato di questa settimana è Alessandro Zenobi, artista poliedrico che ha partecipato all'evento FRESCO della scorsa estate con "Non io", un percorso di disgregazione dell'ego dello spettatore. 


$se non avessi preso questa strada, cosa ti sarebbe piaciuto fare?$
Prima di intraprendere il percorso artistico avevo seriamente valutato di continuare gli studi di biologia, già iniziati al liceo scientifico. Non mi sono del tutto tradito, visto che ad oggi le forme naturali sono la mia prima fonte di meraviglia. Dalla formica alle piante colossali, ho spesso usato un immaginario che attinge molto dal naturale e soprattuto dal mondo della vita.


$hai lavorato a progetti di diversa natura come sculture, disegni, musica e scrittura. con quale di queste forme artistiche ti senti più a tuo agio? quale ti piace di più? e perché?$
La musica, ma penso che ci sia da fare una distinzione necessaria: la musica ha un grande vantaggio sulle arti visive e cioè il fatto che non ha corpo, è completamente eterea e in qualche modo più "pura" rispetto ad altre forme di espressione; il linguaggio musicale è una lingua naturale quanto quella parlata e per questo è in grado di veicolare qualsiasi messaggio in modo estremamente preciso e potente. 
Certamente se mi affidassi solo alla musica per tirar fuori tutto ciò che mi passa per la testa mi ritroverei presto deluso anche dal suono come medium, per questo non riesco ad essere del tutto sedentario per quanto riguarda le tecniche. Così utilizzo il disegno, che spesso mi aiuta a mettere in connessione le idee con la pratica, e la scultura, che ha uno stretto rapporto con lo spazio e con il corpo.


$cosa significa per te sperimentare? e perché può essere importante per ognuno di noi?$
Se ci devo riflettere non so bene come definire la sperimentazione per come la intendo io. Per quanto riguarda la mia esperienza personale ho sempre trovato estremamente utile mettere in relazione l'esercizio e l'errore che inevitabilmente, prima o poi, arriva. Ho trovato nell'errore il senso dell'esercizio, come se tutto si basasse sugli sbagli e gli imprevisti che accidentalmente si infilano nel mio lavoro. Ad una riflessione più attenta capisco però che questa dinamica è comune a tutti noi: anche la nostra persona (nel senso proprio di "maschera") è il risultato delle nostre esperienze ma soprattuto dei nostri incessanti errori che ci costringono ad un continuo rimodellamento di ciò che siamo. Ecco sperimentare per me credo sia far andare di pari passo l'evoluzione di ciò che sono in relazione a ciò che faccio.


$in che modo credi che le varie discipline artistiche possono dialogare tra di loro nel contesto contemporaneo?$
Sono circa cento anni che nel mondo dell'arte si parla di "Opera d'arte Totale" (Gesamtkunstwerk) e credo sia il momento di riformulare questo concetto ormai troppo polveroso. Vorrei si potesse eliminare del tutto una certa gerarchia delle arti che molti addetti ai lavori hanno stampata a fuoco nella mente e andare invece nella direzione di un'apertura globale delle discipline artistiche, senza divisioni arbitrarie. 
Un esempio sotto gli occhi di tutti ce lo fornisce l'architettura, visto che è da tempo ormai (più o meno da quando la Scuola di Architettura si è distaccata dalle Belle Arti) che l'uomo non da più attenzione all'ambiente in cui vive, ormai del tutto slegato dalla natura, costringendosi a vivere dentro scatole di cemento spesso avvilenti e sconfortanti. Questo è stato il risultato di un prolungato disinteresse dell'architettura nei confronti delle altre arti, diventando qualcosa di dis-umano o meglio di anti-umano. Non voglio ragionare sui motivi per cui questo è successo, ma sottolineare che una riconciliazione fra l'Arte e l'Architettura porterebbe ad un netto migliormente della qualità della vita. Questo dovrebbe essere lo scopo delle Arti, a prescindere dalla disciplina: rendere l'esperienza estetica una parte fondamentale della vita quotidiana.


$quali sono 3 brani particolarmente significativi per te e per quali motivi?$
Touch, Daft Punk: semplicemente gli otto minuti e mezzo più commoventi della musica elettronica contemporanea. 
Ambient1: Music For Airports, Brian Eno: un pezzo che ha cambiato completamente il mio modo di concepire la musica e gli ambienti sonori. Devo molto a Brian Eno.
Il suonatore Jones, Fabrizio De André: la conclusione perfetta di un album che tratta di vicende umane con una delicatezza che di solito si riserva al Divino

Alessandro Zenobi

“C’è, nello spazio, un sentimento che ci avvolge insieme all’anima degli uomini e delle cose”.

Ludovico Quaroni 

La nostra generazione è abituata ad un concetto nuovo e diverso di luogo, poiché gli strumenti del digitale hanno permesso l’abbattimento dei limiti sia spaziali che temporali. Così molto spesso i luoghi fisici perdono di significato e diventano solo confini da superare. 
Questo superamento dei confini rappresenta un vantaggio per l’individuo, che avrà infatti più scelte e possibilità, ma rappresenta uno svantaggio per il gruppo. Infatti riduce le possibilità di conoscenza, di confronto e di nascita di legami più forti. 
Il cambiamento del concetto di luogo ha un impatto deteriorante sul senso di gruppo e comunità, poiché, secondo la psicologia sociale, la mente ha da sempre utilizzato i luoghi per dare senso e continuità alle relazioni interpersonali. Senza questi limiti di spazio, e senza la capacità di riconoscere e condividere le emozioni dell’altro, diventa molto difficile uscire da una logica individualista e riuscire a creare relazione profonde e durature.


Costantemente nel corso degli ultimi anni, abbiamo assistito allo sforzo da parte dei media digitali di creare esperienze e fruizioni quanto più simili a quelle reali, generando dei luoghi ibridi e fluidi che lo psicologo e scrittore Giuseppe Riva, seguendo gli studi di Jacob Van Kokswijk definisce come “Interrealtà”. Il filosofo Luciano Floridi ci parla similmente di “Onlife”, ovvero una nuova dimensione abitativa e di vita in cui tutti gli ambiti relazionali, sociali, comunicativi, economici e lavorativi, sono visti come il frutto di una continua interazione tra la realtà materiale ed analogica e quella virtuale ed interattiva. Questa nuova dimensione per quanto stimolante e ricca di potenzialità, ha portato all’ulteriore vittoria dell’individualismo e all’erosione del senso di comunità. 



Se, come testimonia la storia umana, nel corso dei millenni l’uomo ha sempre cercato di riunirsi, facendo proprio dei legami e dei vincoli tra individui, la sua forza, oggi ci siamo allontanati da questo senso di comunità e da una visione del futuro condivisa. Poiché la società a cui siamo abituati genera un individuo isolato e ci fa credere che l’unica forza possibile sia quella che risiede nelle singole capacità e prestazioni, nello spiccare sugli altri. L’erosione del collettivo rende sempre più improbabile un agire comune. Le persone non costruiscono un vero “Noi”, si limitano piuttosto all’aggregazione in gruppi basati su legami deboli, in cui è sempre e comunque il singolo a prevalere. 



E così il senso di solitudine dilaga, la solidarietà scompare e la privatizzazione si estende fino all’anima. Rimaniamo, però, esseri che, per natura, hanno bisogno di scambio, di dialogo, di senso di appartenenza e riconoscimento. Non ci bastano più le cosiddette 'community', oggi evocate in ogni dove, in grado di soddisfare questi nostri bisogni solo in piccolissima parte.

Lo sforzo collettivo, come ci ricorda l’architetto Gae Aulenti, deve essere quello di generare spazi, oggetti o esperienze in grado di dare un senso al mondo. In un momento di completa ri-definizione del concetto di luogo, in cui Elon Musk progetta di colonizzare lo spazio cosmico, è necessario ricordare come l’essere umano ha, in realtà, bisogno di luoghi “limitati” poiché è una creatura locale che necessità di abitare e soggiornare gli spazi. L’essere è il verbo del luogo. 
Oggi, nel tentativo costante di avere e produrre più spazio e più tempo, finiamo per perderli poiché perdiamo le soglie e i passaggi, abbattuti a favore di una comunicazione e di una produzione accelerate e prive di barriere.



Letture consigliate per approfondire:

Nello Sciame, Byung Chul Han
La società della Performance, Gancitano – Colamedici
La Quarta Rivoluzione, Luciano Floridi
Nativi Digitali, Giuseppe Riva
Realismo Capitalista, Mark Fisher
Essere Senza Casa, Gianluca Didino

Luoghi comuni

la scorsa estate è venuta dalla lontanissima Valtellina solo per realizzare la tela (insieme a Giacomo Lucidi) che avete fotografato all'esordio di FRESCO. questa settimana, dopo mesi da quella serata, abbiamo deciso di farle qualche domanda e di scoprire qualcosa di più su di lei.


$qual è il ricordo più bello che hai, legato alla tua professione?$
Tanti, tanti, tanti. Il più tenero è davvero tenerissimo e ovviamente con Elis. Picture this: noi due a sedici anni, decise a dimostrare al mondo (Valtellina) che fare il liceo artistico avesse senso, camminando in giro per Sondrio nelle nostre giacche giganti.
Eravamo cariche di speranze e flyers di un design davvero discutibile per proporre "vetrine dipinte di Natale" ai bar del centro. L’idea era qualcosa di nuovo nella big city in questione, ma la risposta è stata molto positiva e siamo riuscite a farlo diventare un progettino natalizio che è ricorso ogni anno per un bel po’. Ucciderei (iperbole) per ritrovare uno di quei volantini.


$se potessi rubare tre skill da qualcuno (chiunque) quali ruberesti e perché?$
L’effortless carisma di Furby (by Tiger Electronics). La sfacciataggine di Maison Hefner. Il poliglottismo di Ziad Fasah che parla 59 lingue e immagino non si fermi mai a metà discorso per chiedere “How do you call that thingy that goes vrrrr vrrrr in the wall? When you need to hang something. Ahahaha help, I miss the word in English. Come on, VRRR VRRR”.


$la tua piú grande fonte di motivazione? cosa ti scoraggia più di tutto?$
Sentirmi dire “Non ce la farai” mi accende dentro un’energia che vorrei fosse legalmente rivendibile. Ne stavo parlando ieri casualmente con un amico e si stava discutendo su quanto sentirmi dire che mi mancano senso pratico o capacità per fare qualcosa mi carichi come non mai, gliene parlavo con fierezza. Ripensandoci ora, forse dovrei lavorare su questo bisogno di riconoscimento esterno e parlare di questa cosa allo psico piuttosto che a Leo. Non so, al momento mi limito a godere
dei benefici di questa fragilità. 
Ah, il fallimento invece mi scoraggia molto. Ho molta poca pazienza e se qualcosa non mi viene in 3, 2, 1 può darsi che dica ‘vabbeneocchei,sivedrà’.


$quando ti commissionano un lavoro, quanto credi sia giusto scendere a compromessi tra quello che ti piace e quello che ti chiedono di fare?$
È una questione un po’ tricky. Trovo sbagliato sia l’intestardirsi troppo sul proprio gusto senza sentire ragioni, sia prendere il ruolo del mero esecutore. Abbiamo tutti backgrounds ed esigenze diverse e, a patto che la richiesta sia nei limiti della decenza, trovo giusto che entrambe le parti si adattino il più possibile. “Non stiamo salvando vite” è uno dei miei mantra preferiti. Inoltre, rimanere emotivamente legato ad ogni pezzo che rilasci nel mondo, alla lunga, o ti svuota, o ti riempie lo spazio nel cloud.

Anna Bonomi

il secondo appuntamento con la rubrica Portrait vede un altro degli artisti che avete potuto incontrare e conoscere allo scorso FRESCO club.
parliamo di SanFrancisco, che a Dicembre ci ha portato un'intera installazione di fotografie, tele e proiezioni dal suo progetto "TERRA AMARA", del quale ci racconta anche in questa intervista.


$cosa rappresenta per te la fotografia e cosa cerchi di comunicare attraverso essa?$
Allora parto col dire che, al contrario di come è facile pensare, io non mi considero un fotografo, potrebbe essere un insulto per coloro che passano giorno e notte dietro a macchine fotografiche e computer per tirare fuori scatti perfetti.
Ora mi chiederai: ”E allora chi sei?”
Ti rispondo con ciò che mi diceva mio padre quando ritornavo a casa dall’asilo piangendo perché alcuni bambini troppo vivaci mi avevano fatto qualche dispetto. Ero un bambino, ed ora sono un ragazzo fin troppo sensibile che a tratti si carica sulle spalle tutti i problemi del mondo, anche quelli che non gli riguardano ed a tratti è la persona più egoista sulla faccia della terra. Questo pregio/difetto mi fa soffrire insieme alle persone a cui voglio bene per i loro dolori, non riuscendo a sopportare tutto, l’unica cosa che mi aiuta a scaricare questo malessere è l’arte.
Sono cresciuto con le invettive degli adulti verso il nostro gruppo di amici in quanto ci ritenevano dapprima “vandali” e dopo “tossici nullafacenti” senza mai chiedersi perché ci comportassimo in quel modo nonostante qualche anno prima eravamo tutti nella parrocchia del nostro paesello ogni domenica a fare i chierichetti. Avevo vaghe risposte, ma non me ne preoccupai particolarmente fino a quando non arrivò la chiamata della notizia dell’arresto di uno dei miei più cari amici.
Mi si è fermato il mondo.
Quella è stata la prima vera volta in cui ho avuto bisogno dell'arte come mezzo di catarsi e punto di sfogo. Ho scritto un testo in versi dedicandolo al mio amico e alla sua libertà svanita e finalmente trovai le risposte che stavo cercando.
Da lì non l’ho abbandonata più… l’arte. 
Poesia, musica, pittura, cinema, ed infine la fotografia sono tutti mezzi per studiare me e l’ambiente che mi circonda.
Cerco di comunicare il perchè delle sofferenze dell’uomo ed il perché ci sembra di nascere già destinati ad esse.


$quale progetto è stato il più significativo per te o di cui vai più fiero? e perchè?$
“TERRA AMARA”. 
Terra amara è l’evoluzione del mio docufilm “Figli del Fiume”, è l’universalizzazione del linguaggio che prima era confinato esclusivamente in Abruzzo mentre ora ha quasi la forma adatta per raggiungere più persone.
Perchè? 
Mentre sto scrivendo questa risposta ho alzato per un momento gli occhi dal foglio e si sono poggiati su di nonno che, seduto sul divano, ascolta in televisione un programma di un canale indipendente esclusivamente sui canti popolari.
Credo che la risposta del perchè sia contenuta nel mio sangue ed il mio sangue non parte da nonno e neanche dal mio bisnonno ma chissà da quale lontano antenato. Ho odiato molto la mia terra tanto amara, l’ho amata infinitamente di più, ma purtroppo ora sono nella condizione di cosapevolezza in cui ho compreso che tutte le ferite che indossiamo sono state causate da noi stessi e ciò apre un buco nel petto, un vuoto cosmico che ci divora dall’interno.


$se potessi creare una chimera di artisti che ti rappresenti, chi sceglieresti e per quali ragioni?$
Spazio tra vari generi ma mi oriento molto sull’underground.
Per la musica ti dico Marracash. Marra rappresenta l’elegantizzazione degli “scappati di casa”, con la sua penna sublime ci fa sembrare tutte persone per bene, e mette in mostra il nostro cuore e la nostra anima prima della fedina penale e del nostro passato.
In pittura Jean-Michel Basquiat, uno dei più grandi esponenti del neoclassicismo e del graffitismo statunitense. Egli riuscì a portare questo movimento dalle strade alle gallerie d’arte. Purtroppo però, per molti artisti, ciò che li spinge a creare è anche ciò che li uccide e per ciò sappiamo tutti la fine che fece Basquiat. Certe cose non te le scolli di dosso. 
Per la scrittura mi piace molto Charles Bukowski, grande sostenitore della semplicità di vivere. Egli affermava di riuscire a trovare la verità grazie alla quale produceva le sue opere nella semplicità. E poi mi fa impazzire il fatto che si sia autodistrutto per infatuazione della sua arte e di ciò che comportava fare per crearla (esistenza assai lasciva).
Ultimi ma non per importanza nella categoria di coloro i quali morirebbero per la vita romantica che conducono, ci sono i pescatori di San Benedetto del Tronto, la mia seconda città natale. Il continuare a navigare su quel mare tanto bello quanto logorante e a volte mortale, omaggiadolo continuamente di poesie e celebrazioni, mi hanno influenzato nel percorso artistico. Fondamentale è la tenacia nel non mollare mai il proprio principio di vita nonostante i tagli che si portano addosso.


$se non avessi preso questa strada, cosa ti sarebbe piaciuto fare?$
Il rapinatore o il marinaio… Una di queste due cose l’ho fatta veramente, indovina. =)

SanFrancisco

Con la rubrica “Insight” approfondiremo periodicamente le tematiche che stimolano il nostro interesse, che compongono il DNA della nostra community e di fronte alle quali non vogliamo rimanere inermi.

“Innocenza è il fanciullo e oblio, un nuovo inizio, un giuoco, una ruota ruotante da sola, un primo moto, un sacro dire di sì.”
Nietzsche, Così parlò Zarathustra

Cosa vuol dire crescere?

Crescere oggi è difficile perché non ci sono momenti di passaggio dalla giovinezza all’età adulta, c’è un circolo vizioso di bisogni e soddisfazioni che non ti permette di avere la percezione di stare fiorendo. La società potenzia l’individuo e gli costruisce intorno una corazza, sotto la quale però il bambino è rimasto bambino. 
Crescere significa anche non riuscire più a cogliere le relazioni segrete tra le cose. Ma in un mondo in cui la realtà si presenta frantumata e completamente disgregata, l’unico modo possibile di comprenderla a pieno è l’abbandono del pensiero razionale.


Giovanni Pascoli riteneva che in fondo ad ogni uomo adulto sopravvive un fanciullo in grado di guardare le cose come se le vedesse per la prima volta: con stupore e meraviglia. Secondo la poetica del fanciullino Pascoliana, solo il poeta era in grado di svelare la parte più intima e originaria delle cose, calandosi nell’abisso della verità. Per noi però, chiunque può avere il privilegio di connettersi con il bimbo che custodisce dentro, nascosto ed oppresso da una modernità schiva ed esagerata. 


Oggi più che mai ha senso tornare a parlare dell’indagare il mondo anche attraverso gli occhi di un bambino. Perché la nostra è un’epoca estremamente complessa ed apparentemente indecifrabile, un’epoca in cui a dominare è la distruzione delle certezze. 
Ci spetta il compito di non far vincere l’inquietudine e di cogliere l’opportunità di immaginare e costruire nuovi mondi possibili, contemplando un’alternativa a tutto ciò che fino ad ora abbiamo dato per scontato.


Moltissimi sono gli artisti che, attraverso le loro opere, cercano di liberare il proprio fanciullino, di entrare in contatto con un essere ingenuo quanto ricco di fantasia, di appropriarsi dolcemente della sua spensieratezza e della ludicità del suo pensiero. Arte e Musica diventano, così, potentissimi mezzi per non rimanere intrappolati nella quotidianità ed in una visione del mondo limitata. Anche gli artisti della Fresco Community si sono “calati nel mondo” per restituirci una loro personale visione, parlandoci della fanciullezza come un modo per “uscire dai bordi”, come un ricordo non nostalgico ma vitale.
La vita forse non sarà un gioco, ma ogni tanto non ci farebbe male poterlo credere.

Uscire dai bordi

Oggi, con la nuova rubrica Portrait, vogliamo farvi conoscere Yuri Falcioni, artista che avete potuto apprezzare durante la nostra ultima serata FRESCO Club sotto il nome di Amalasunta Studio. 


$⁠qual è il primo ricordo legato alla tua professione?$
Purtroppo in realtà è un dispiacere: ero al terzo anno del Liceo Artistico, iscritto al corso di Arti Figurative (dove, sostanzialmente,  disegnavi modelle nude per 8h al giorno), quell’anno fui rimandato con 3 materie e successivamente bocciato a Settembre, un vero e proprio cogli*ne. Il primo giorno del mio (secondo) terzo anno il vicepreside mi convocò nel suo ufficio per persuadermi al cambiamento dal mio indirizzo ad uno appena aperto, quello di Grafica, che al momento era ancora carente di studenti. Io ero deciso a rimanere nel mio, poiché il disegno era la mia unica gioia e l’unica materia in cui rendevo, ma inutile dire che più di un invito era un obbligo, dunque tempo 24h e sono diventato il primo “grafico” dell’istituto.


$⁠se non avessi preso questa strada, cosa ti sarebbe piaciuto fare?$
Nella vita ho sempre giocato a basket, e fino all’età di 16 anni ho creduto che il mio mestiere sarebbe stato quello del cestista.
Ci ho sempre creduto molto, rinunciando anche a parte della mia adolescenza per coltivare questo sogno, l’unico esistente in quel momento.
Ti direi dunque che avrei voluto vivere di sport, e che un giorno comunque spero di poter dare il mio contributo al mondo cestistico, magari in veste di designer…che forse mi conviene.


$⁠qual è il tuo migliore amico quando lavori / cosa non può mancare quando lavori a qualcosa?$
Risposta banale ma la musica.
Accendo prima la cassa che il monitor…anzi ne approfitto per darvi due chicche (l’ultima l’ho scoperta oggi, è fotovoltaica):
Roísín Murphy - You Knew
Renato Zero - Spiagge
The XX - Basic Space (M.A.T.H.E.S. Remix).


$cosa ti lega di più a San Benedetto? come pensi si possa fare qualcosa per il paese in cui si è cresciuti?$
Mah in realtà tutto; mia mamma, i miei amici, il mare... il fatto è, che dopo aver passato 24 ore al giorno per 18 anni in un posto, ritrovarti tempo dopo a fargli visita quelle 3 settimane l’anno ti fa rivalutare (in positivo) un po’ tutto il paesaggio. 
Fondamentalmente non penso che ci sia l’obbligo di restituire nulla al posto in cui si è nati. Soltanto ora a distanza di anni lontano da casa mi rendo conto però, che in tutto ciò che faccio, anche in piccola parte, c’è l’influenza del mio passato e delle mie origini. In particolare in ambito artistico e con Amalasunta Studio. Sarei un’ipocrita dunque, nel dirti che non ci terrei a realizzare una mostra o una esibizione nella mia città.
La verità è che preferirei di gran lunga far conoscere San Benedetto del Tronto attraverso la mia arte portandola in giro per l’Europa e nel mondo. Chissà se un giorno, magari, al MoMa di New York accanto a Rothko e Chagall troverete una simpatica installazione che dice: “lavorare, lavorare, lavorare, preferisco il rumore del mare” .

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